Pubblichiamo la relazione tenuta da Carlo Flamini, responsabile Osservatorio del Vino UIV, alla recente assemblea nazionale di Unione Italiana Vini a Roma, presso la sede di Confcommercio.
Nel mondo si consumano circa 280 milioni di ettolitri di vino. Oltre la metà di questi volumi è fatta in una manciata di Paesi, con in testa gli Stati Uniti (14%), seguiti da Francia (10%), Italia e Germania (7%), quindi Cina (6%) e Regno Unito (5%). Sono stati ricompresi anche Canada (2%) e Giappone (1%), pur con volumi più bassi rispetto ad altri Paesi, come Olanda o Russia, per andare a costituire un campione che ricomprendesse i maggiori consumatori dei tre principali continenti (Europa, Asia e Americhe) e rendere più ampia la base d’analisi comparativa su consumi ed evoluzione della popolazione.
I Paesi monitorati costituiscono l’ossatura dell’export italiano di vino: il 64% a valore, con in testa gli Usa (24%), seguiti da Germania (15%), UK (10%), Canada (6%), Francia (4%), Giappone (3%), con fanalino di coda la Cina (1,5% di quota), Paese a cui da più di un decennio si è guardato con molta attenzione (e speranza), ma che negli ultimi tre anni ha rallentato fortemente i ritmi di importazione e anche di consumo.
Sulla base delle stime delle Nazioni Unite, nel 2040 la popolazione mondiale arriverà a sfiorare i 9,2 miliardi di individui, contro gli 8,1 attuali. La crescita però è attesa a un graduale rallentamento rispetto ai ritmi vertiginosi registrati dagli anni Ottanta a oggi, tanto che prima della fine del secolo il picco dei 10.4 miliardi - atteso dall’Onu attorno al 2080 - non verrà più superato. Anzi, dal 2090 inizierà una graduale discesa, per la prima volta dal 1950, che riporterà la popolazione mondiale sotto i 10.4 miliardi toccati solo 10 anni prima.
Fermando l’analisi al 2040, e restringendo il campo ai Paesi monitorati in questa analisi, eccettuati Italia e Giappone, per cui le previsioni demografiche sono di riduzione (rispettivamente -3% e -7% nelle medie decennali che vanno dal 2020 al 2039 e dal 2010 al 2019), e la Germania (prevista stabile), per tutti gli altri gli indicatori sono ancora di crescita: dal +7% della Francia al +9% della Cina, per salire a +11.5% per UK, +16% per gli Usa e +21% per il Canada.
Al di là dei movimenti verticali verso l’alto o il basso, per tutti i Paesi monitorati è pronosticato un innalzamento dell’età media della popolazione: il Paese più anziano al 2040 sarà il Giappone (52 anni di media), seguito dall’Italia (51 contro 44 del 2020) e dalla Germania (47). Sorprende il dato cinese: i 45 anni di media risultano superiori a Francia, UK, Canada e Usa (compresi tra 41 e 44 anni), ma la sorpresa è fino a un certo punto: le politiche di contenimento forzato della crescita demografica intraprese dal Governo di Pechino hanno avuto (e avranno sempre più nel futuro) l’effetto di rallentare in maniera drastica le nascite, arrestando quel flusso positivo di ricambio giovani-anziani che fino all’inizio del nuovo millennio aveva mantenuto l’età media della popolazione attorno ai 26 anni.
In un contesto che vede da una parte un rallentamento della crescita della popolazione (quando non un calo, come per il nostro Paese) e l’invecchiamento progressivo degli individui, anche i consumi di vino sono previsti entrare in una nuova fase di maturità. Maturità che si è già materializzata nel decennio che va dal 1999 al 2019, con i Paesi tradizionali produttori (Italia, Francia, ma anche Germania e Spagna) entrati in una dinamica negativa e di cosiddetta normalizzazione (in Italia e Francia negli anni Sessanta si consumavano oltre 50 milioni di ettolitri, con pro-capite attestato ben sopra i 140 litri annui). Ma un eguale trend di assestamento si è avuto in Germania e Giappone, mentre fortemente espansivi sono solo Canada, UK, Usa e Cina, che a cavallo tra 1999 e 2019 hanno visto aumentare i consumi di vino di circa 15 milioni di ettolitri (Usa, Cina), 7 (UK) e oltre 3 milioni il Canada.
Parliamo di nuova fase di maturità perché in tutti questi Paesi nel 2039 – rispetto al decennio chiuso al 2019 – i tassi di crescita sono destinati a smorzarsi, anche in maniera notevole: la Cina si attesterà a +4,1 milioni di ettolitri, mentre gli Usa da +15 scenderanno a +9, e il Canada ridurrà l’aumento del volume consumato di circa un terzo (+1,1 milioni di ettolitri). Questo per quanto concerne Paesi che come abbiamo visto presentano saldi della popolazione attivi al 2040. In UK, nonostante la crescita attesa in termini demografici, a livello di consumi si scenderà in territorio negativo (-700.000 ettolitri), così come Giappone, Germania, Francia e Italia, con questi ultimi due che – in maniera contraria rispetto agli altri – restano in dinamica negativa, ma riducendo l’ampiezza della perdita fisica (Italia da -9.2 milioni del 2019 a -1,2 milioni del 2039).
Sommando gli otto Paesi monitorati, se la crescita tra 2019 e 1999 aveva assunto il volume di +31.2 milioni di ettolitri (+27%), al 2039 questo incremento si riduce di 1/3, a 10,3 milioni (+7%), con i soli Stati Uniti a portare in dote 9,3 milioni di aumento (+27%).
Nel contesto generale di rallentamento dell’indice di aumento dei consumi tra decenni, e pur a fronte di una popolazione che come si diceva resta in dinamica positiva, quello che è previsto cambiare radicalmente già nel 2040 è la fisionomia del consumatore di vino tipo: per tutti i Paesi monitorati – siano essi a consumi costanti, in aumento o in calo - è previsto comunque e sempre uno spostamento di pesi tra generazioni che va a impattare in maniera drastica sul volume e sulla qualità dei consumi.
Il totale monitorato degli otto Paesi mostra un’evoluzione più che eloquente: nel decennio 1990/99 over-65 e più giovani erano in perfetta parità, attorno al 18%. Nel decennio successivo, un primo strappo, con i più anziani che salgono al 20% (10 milioni di ettolitri in più) e i più giovani che scendono al 15% (solo 2 milioni di ettolitri in più), di fatto non intaccando i pesi della fascia di mezzo (25-64 anni), che rimane stabile come quota al 65%, aumentando in termini fisici di 20 milioni di ettolitri.
La vera involuzione è attesa nel decennio che chiude al 2039, quando per effetto dei rallentamenti nel ricambio generazionale visti in precedenza i più anziani sono previsti salire al 30% dei consumi (15 milioni di ettolitri in più rispetto al decennio precedente), a fronte di una nuova riduzione dei più giovani (al 13%, questa volta dovuta a calo dei consumi, -2 milioni di ettolitri) e la fascia di mezzo che riduce sia i consumi fisici (-4 milioni di ettolitri) sia di conseguenza il peso percentuale sul totale, al 58%.
In sostanza, se tendenzialmente la fascia più giovane, causa calo progressivo delle nascite, rallenta nella sua funzione di alimentatore di quella mediana, la fascia mediana (25-64 anni) subisce un duplice effetto: nei decenni a venire i più maturi (i 40-50enni), entrati in quella anziana, porteranno con sé le proprie abitudini di consumo (generalmente consolidate), facendo lievitare i volumi di questa coorte, mentre la parte più giovane (sotto i 40 anni) sarà destinata a perdere in termini di individui e quindi di consumo, considerando che i più giovani che la vanno ad alimentare dal basso sono generalmente più saltuari.
La crescita dei consumi generali negli otto Paesi monitorati (i 10,3 milioni di ettolitri visti in precedenza) è ascrivibile in gran sostanza a uno spostamento di individui – in generale consumatori che con l’avanzare dell’età diventano “core consumers” - verso le fasce più anziane, che vanno a bilanciare il calo di quelle più giovani in assoluto e – nella fascia mediana – quello delle coorti anche qui più giovani (25-40 anni).
In un contesto generale che vede – tra i Paesi su cui l’Italia è più esposta – solo gli Usa e il Canada in crescita in termini di consumi, mentre dinamiche negative coinvolgono più o meno pesantemente UK, Germania, Giappone e Francia, per il nostro Paese sono previsti scenari di relativa stabilità, con elementi di preoccupazione dettati dall’erosione dei consumi nazionali (-1.2 milioni di ettolitri al 2039, ricordando che il mercato nazionale vale la metà del totale).
L’export risulta ancora e sempre di più la chiave di volta per rendere sostenibile il settore, anche se le proiezioni da qui al 2039 rispetto alla media 2010/19 vedono una crescita di 1,8 milioni di ettolitri (attorno quindi a 22.5-23 milioni), che va a compensare solo in parte l’ammanco generato dal mercato interno, con un saldo positivo di poco più di mezzo milione di ettolitri.
In sostanza, l’evoluzione attesa, intesa come incrocio di dati demografici (o etnici e religiosi, non presi in considerazione in questa analisi, ma già fortemente impattanti su mercati strategici, come gli Usa) e di attitudine al consumo, indica che il mondo che consuma vino non costruirà più la sua crescita sul volume, ma molto più probabilmente sul valore espresso dalle bottiglie di vino. Una componente - quella del valore – che ha più declinazioni: il benessere fisico e spirituale, la sostenibilità ambientale ed etica, il consumo “sociale”, in cui il vino entra (ed entrerà sempre più in futuro) in competizione serrata con altre bevande.